Nel maggio del 1944, in piena seconda guerra mondiale, decine e decine di convogli viaggiano per l’Europa distribuendo prigionieri in tutti i campi di concentramento nazisti.
Tra questi uno in particolare arriva ad Auschwitz il 19 maggio 1944 e porta, tra gli altri, la famiglia di origine ebraica degli Ovitz, di dodici componenti. Al loro arrivo, in piena notte, sono immediatamente notati da un ufficiale, che corre a svegliare il Dr. Mengele, il famoso angelo della morte di Auschwitz.
Questo perché la famiglia Ovitz ha la peculiare caratteristica di avere ben 7 componenti affetti da nanismo, il che la rende il nucleo familiare con il maggior numero di componenti affetti da questa particolare condizione di cui si abbia e si avrà conoscenza.
Mengele è entusiasta e afferma di avere lavoro per almeno 20 anni grazie agli Ovitz. La loro particolare situazione di protetti e cavie di Mengele, permette agli Ovitz di sopravvivere per 7 mesi in una situazione di relativo benessere se paragonata a quella degli altri internati nel campo. La famiglia ha infatti una baracca privata, dotata di catini per lavarsi e di un bagno e viene permesso a ciascun membri di non lavorare, di mantenere i propri abiti civili e di non essere rasati.
Grazie a questi benefit, gli Ovitz spacciano anche altri 11 prigionieri per membri della loro famiglia mettendoli al riparo dalle fatiche del lager.
Chiaramente questo trattamento speciale comporta un prezzo da pagare: tutti i componenti della famiglia, compresi quelli non affetti da pseudoacondroplasia, sono infatti le cavie predilette di Mengele.
Il medico preleva loro sangue e midollo, inietta sostanze che provocano vomito e svenimenti, ma sempre con un occhio di riguardo. Ogni volta che una delle sue cavie perde i sensi o pare sentirsi troppo male per proseguire, Mengele la fa rinvenire o le concede un piccolo riposo, senza mai arrivare al punto di rischiare di ucciderla. Il medico riserva le torture peggiori al più piccolo della famiglia, di soli 18 mesi.
Nonostante gli esperimenti di Mengele, solo una Ovitz perde la vita, mentre tutti gli altri componenti riescono a sopravvivere fino alla liberazione del campo. Da quel momento sono di nuovo donne e uomini liberi e possono riprendere la loro vita.
Emblematica la frase ripetuta da Perla Ovitz durante le sue testimonianze: “Mi sono salvata per grazia del diavolo”.