Erano gli anni ’70 e Fabrizio De André, insieme alla sua compagna Dori Ghezzi, era rimasto incantato dalla bellezza aspra della Sardegna a tal punto di decidere di acquistare dei terreni dove aveva costruito una tenuta agricola.
Da quella tenuta andavano e venivano diverse persone tra cui amici e parenti della coppia, ma il 27 agosto 1979, Fabrizio e Dori sono rimasti soli, complici anche i genitori di lei, che hanno portato la piccola Luvi, figlia dei due artisti, con loro, per farle trascorrere qualche giorno al mare.
Sono le 23:00 quando Dori sente però dei passi al piano di sopra. Si tratta di tre uomini incappucciati che, con la minaccia di un fucile, costringono la coppia ad indossare scarpe chiuse e a salire sulla macchina di De André.
Sono ore di spostamenti, prima in macchina e poi a piedi, su terreni scoscesi, cespugli e rovi, che proseguono anche il giorno successivo. Fabrizio e Dori conservano per tutto il tragitto un cappuccio sul capo e non sanno di essere tra le montagne di Pattada.
La coppia rimane nel nascondiglio per circa una settimana, durante la quale dorme all’aperto e vive sotto la costante sorveglianza di due sequestratori, anche se ogni sera un terzo componente della banda arriva puntuale a consegnare pane, formaggio e scatolame.
Dopo sette giorni tuttavia, Fabrizio e Dori vengono spostati in un nuovo nascondiglio dove rimarranno per alcuni mesi, dotati di una piccola tenda per ripararsi dal freddo e di un fornelletto per cucinare qualche pasto caldo.
Presto si scopre anche l’intento del sequestro: al padre di De André infatti viene consegnata una lettera in cui si chiedono 2 miliardi di lire per liberare la coppia. La famiglia De André, che non dispone di una tale cifra, cerca di ottenere uno sconto sul riscatto, ma la trattativa non va a buon fine e ne segue un lungo e preoccupante silenzio.
Dori Ghezzi descriverà quei momenti: “Le informazioni che ci davano erano che il padre di Fabrizio non volesse pagare il riscatto. Ci proponevano di liberare Fabrizio per pagare il mio riscatto o, viceversa, di liberare me affinché Fabrizio convincesse il padre a pagare la mia liberazione. Alla supplica di Fabrizio di alleviarci dalla torture delle bende i banditi acconsentirono, legandoci però con delle catene perché non scappassimo. Uno dei banditi, che di tanto in tanto veniva per accertarsi delle nostre condizioni, raccomandando ai custodi di trattarci bene, comunicava in italiano corretto e forbito, si esprimeva in modo calmo e gentile, che Fabrizio chiamava “l’avvocato”
Passano i giorni e occorre aspettare l’inizio di novembre per avere un nuovo contatto con la banda di sequestratori: i banditi minacciano di uccidere gli ostaggi se la famiglia non paga al più presto 300 milioni come anticipo del riscatto.
Seguono nuove trattative finché non ci si accorda sulla cifra di 550 milioni in cambio della liberazione di Fabrizio e Dori.
Altri 50 milioni saranno consegnati dopo la liberazione, impegno che sarà onorato dallo stesso De André.
Alle 23:00 del 20 dicembre, Dori Ghezzi viene finalmente rilasciata.
Alle 21:00 del 21 dicembre, dopo 117 giorni di prigionia, è infine il turno di Fabrizio De André.
Qualche giorno dopo i carabinieri eseguono i primi arresti, mentre altri componenti della banda saranno scoperti e fermati nei mesi successivi. Alla fine il gruppo risulterà composto da sei persone originarie di Orune, comune della provincia di Nuoro, tre di Pattada, nella provincia di Sassari, e da un toscano.
Quella brutta avventura, ispirerà al cantautore la canzone Hotel Supramonte.