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Sono questi i giorni di prigionia subiti da Natascha Kampusch.
Parliamo di più di 8 anni rinchiusa in un locale di 3 metri per 4, sigillato da una porta blindata, con gli stupri costanti a scandire il passare del tempo.
Ma andiamo con ordine.
E’ la mattina del 2 marzo 1998 quando Natascha, di appena 10 anni, si incammina (per la prima volta da sola) per andare a scuola. Lungo il tragitto però, incrocia lo sguardo con quello di Wolfgang Přiklopil. L’uomo, alto, magro, dai lunghi capelli castani, aspetta che la bambina sia sufficientemente vicina, le getta un plaid sulla testa, l’afferra e la getta su di un furgoncino bianco per poi partire alla volta della propria abitazione.
E’ la stessa Natascha a descrivere il suo rapimento: «Stavo camminando verso la scuola, vidi quel furgone bianco, e quell’uomo. Ebbi una paura irrazionale, ricordo la pelle d’oca. Ma mi dicevo tra me: “Niente paura, niente paura”. Quante volte mi ero vergognata della mia insicurezza: avevo dieci anni, vedevo gli altri bambini più indipendenti. Ero piccola, in quell’istante mi sentii sola, minuscola, impreparata. Ebbi l’impulso di cambiare lato della strada, non lo feci. Poi i miei occhi incontrarono quelli di quell’uomo, erano azzurri, aveva i capelli lunghi, sembrava un hippy degli anni Settanta. Pensai che lui sembrava quasi più debole di me, più insicuro. Mi passò la paura. Ma proprio quando stavo per superarlo lui mi prese, mi lanciò nel furgone. Non so se gridai, se mi difesi. Non lo so, non lo ricordo»
Un bambino di 12 anni vede la scena e scattano le ricerche. La Polizia effettivamente controlla persino il furgone di Přiklopil, ma Natascha è già stata nascosta in quella che diverrà la sua prigione.
La bambina è stata infatti rinchiusa immediatamente in una stanza di 3 metri per 4 ricavata sotto il garage della abitazione. Da quel giorno, Přiklopil diventa il “Maestro” e Natascha è la sua schiava. Prima di tutto, l’uomo la costringe a digiuni forzati per farle perdere peso e forze e non poter così opporre resistenza. E’ lui che decide quando la bambina può mangiare, bere e dormire ed è lui che si occupa della sua istruzione. Natascha può passare il tempo al buio o leggendo o ascoltando la radio e le è concesso uscire dal bunker, che deve tenere pulito come uno specchio, per occuparsi delle pulizie della casa del suo aguzzino o per dormire con lui.
Přiklopil le rasa completamente la testa per evitare possibile perdite di DNA e non manca di seviziarla con percosse e stupri oltre che a privazioni di cibo e sonno.
E’ sempre Natascha a descrivere la sua prigionia: «Mi chiuse dietro porte pesanti, alla prigione fisica aggiunse quella psichica. Volle anche che cambiassi nome, me ne fece scegliere un altro. Divenni Bibiana, voleva che io fossi una persona nuova, solo per lui. E io iniziai a ringraziarlo per ogni piccola concessione. Mi diceva: “Per te esisto solo io, sei la mia schiava.” Lui regolava la mia sveglia spegnendo o accendendo la luce, decideva se privarmi del cibo o farmi mangiare, mi imponeva periodi di digiuno forzato, decideva le razioni di cibo, fissava la temperatura nella stanza. Decideva lui se avevo caldo o freddo. Mi ha tolto ogni controllo sul mio corpo, mi picchiava in continuazione. Dovevo accettare, a volte apparire sottomessa per sopravvivere, altre volte dovevo impormi e sembrare più forte di lui: non ho mai obbedito quando mi chiedeva di chiamarlo “padrone”»
Passano 8 anni e mezzo di abusi e sofferenze, ma finalmente a Natascha si offre un’occasione: il 23 agosto 2006, in un momento di libertà vigilata in giardino, Přiklopil si distrae per pochi istanti al telefono. Natascha coglie l’attimo e ha abbastanza coraggio per scappare dal cancello e correre finalmente libera lontano dalla sua prigione.
Un passante fermato è il primo ad accogliere le sue parole: “Mi chiamo Natascha Kampusch”.
Přiklopil ha ormai le ore contate e lo sa.
Si reca alla vicina stazione ferroviaria a nord di Vienna e si getta sotto un treno in corsa.
E’ la fine dell’incubo