Il disastro del Vajont minuto per minuto.
8 ottobre: la frana del monte Toc ha inzio per non fermarsi più.
9 ottobre: viene emessa un’ordinanza di sgombero. “La situazione è gravissima, si attendono istruzioni”. Il rapporto arriverà a Roma il 16 ottobre.
Ore 22:15: “Potrebbe esserci una piccola frana, con una modesta fuoriuscita d’acqua”. “Scusate… Qui a Longarone possiamo stare tranquilli?”. “Dormite bene”
Ore 22:39: duecentosessanta milioni di metri cubi di montagna precipitano nel lago a 100 km l’ora. Dalla finestra, il parroco di Casso vede il bosco correre giù. L’acqua, invece, vola in alto. Forma un’onda a tre punte, alta 250 metri. Fa piovere acqua e massi da 100 kg che sfondano i tetti delle case. Feriti, nessun morto. Gli abitanti escono e vedono che oltre Casso non c’è più nulla. Poco sotto l’abitato di Erto c’è uno sperone di roccia, che spezza la seconda onda, proteggendo il paese. Ma non salva le frazioni, che avranno 347 morti. La terza parte del muro d’acqua è composto da 50 milioni di metri cubi d’acqua che volano oltre la diga. Un “lago volante” spesso 70 metri che punta verso Longarone.
A Longarone la gente in strada nota dei lampi. Sono i cavi elettrici che vengono strappati. Intanto arriva il vento. Un vento costante, umido, che aumenta. Come un rumore di treno in corsa. Bagna i vestiti, ha un cattivo odore di terra, toglie il respiro. L’aria, compressa dall’acqua che la spinge, acquista potenza. Tanta potenza: il doppio dell’esplosione della bomba di Hiroshima. La metà delle vittime è polverizzata: di loro non si troverà nulla.
Ore 22:43: Dopo l’aria, arriva l’acqua. Un volo di 4 minuti, percorso a 80 km l’ora. Alle 22.43 l’onda che ha scavalcato la diga colpisce il letto del Piave. Ne raccoglie le pietre e piomba su Longarone, cancellandolo. Dopo 15 minuti, l’onda di riflusso torna giù a lisciare tutto, come la risacca sulla spiaggia. Trasformando la valle in una spianata di fango.
10 ottobre: Alle 5 del mattino del 10 ottobre la radio annuncia la devastazione di Longarone. La prima notizia parla del crollo della diga. Nelle redazioni dei giornali, si rincorrono le informazioni degli inviati e delle prime agenzie. I superstiti vedono sorgere il sole su una spianata di fango.
Ore 5:30: arrivano le prime squadre di soccorso: in elicottero, via terra, fin dove esiste ancora una strada. Le ferrovie non funzionano più, i binari si sono sollevati e attorcigliati. Ci sono corpi ovunque, denudati dalla violenza dell’evento, che vanno identificati e recuperati. Alcuni sono finiti sugli rami più alti degli alberi, servono corde e pertiche per tirarli giù. Donne, uomini e bambini sono stati uccisi dallo spostamento dell’aria, annegati dall’acqua, colpiti dalle macerie. Inizia il penoso rituale dei riconoscimenti, mentre si aiutano i superstiti e si interviene per cercare di impedire le epidemie.
Fonte: Focus