Il cannibale di Milwaukee. È questo il soprannome del protagonista della FASCIA DARK di stasera ed è un soprannome che lascia decisamente poco spazio all’immaginazione.
Jeffrey Dahmer è il vero nome del mostro e si macchierà di ben 17 omicidi particolarmente cruenti.
Cresciuto in un contesto famigliare difficile, seppur non violenti, Dahmer coltiva fin da piccolo una particolare passione per i corpi morti degli esseri viventi, che sfocia, a circa 13 anni, in una vera e propria attrazione sessuale.
L’adolescenza passa tra abusi di alcolici e la realizzazione della propria omosessualità finché, compiuti 18 anni, subito dopo il divorzio dei genitori, Dahmer non compie il suo primo omicidio. La vittima e un autostoppista di 19 anni.
Dahmer invita a passare la notte a casa sua, consuma con lui un rapporto omosessuale e poi lo uccide con un bilanciere. L’assassino può dunque soddisfare le sue fantasie perverse: si masturba sul cadavere per poi smembrarlo, sciogliendo le carni nell’acido e sbriciolando le ossa.
Completate le operazioni, nessuno si accorge dell’orrore che ha iniziato a consumare Dahmer.
Fino al 1987 Dahmer vive un periodo relativamente tranquillo tra università, esercito e traslochi. Ha ormai 27 anni ed ha passato gli ultimi tempi trovandosi lavori, che puntualmente perde a causa del suo alcolismo, e divertendosi in gay bar.
E’ proprio in un bar che incontra Steven Tuomi. I due vanno in un albergo, ma non hanno alcun rapporto: Dahmer infatti trucida il ragazzo e porta il cadavere a casa per abusarne. Continua con questo modus operandi fino al 1988 quando si trasferisce in un appartamento di Milwaukee. Proprio a Milwaukee, la città che in futuro verrà tristemente legata al suo nome, viene scoperto. Dahmer cerca nuovamente di attirare un ragazzo che però riesce a sfuggirgli e ad andare dalla polizia per denunciarlo. Dahmer viene quindi condannato per violenza sessuale e internato per dieci mesi in un ospedale psichiatrico, dove la sua condizione psichica peggiora drasticamente.
Ottenuta la libertà vigilata e quindi rilasciato dall’ospedale, Dahmer ricomincia esattamente con lo stesso identico rituale. Adesca un ragazzo in un gay bar, lo uccide, ne violenta il cadavere di cui poi si sbarazza.
Il ritmo degli omicidi è però diventato spaventoso, arrivando alla cifra spaventosa di dodici persone morte in poco più di un anno. Nessuno si accorge di niente, nessuno sospetta niente, nonostante gli strani rumori e gli odori nauseabondi provenienti dall’appartamento dell’uomo.
Emblematico a tal proposito il caso di Konerak Sinthasomphone. Il ragazzo è il fratello del giovane che anni prima era riuscito a scappare a Dahmer e denunciarlo. Anche Konerak, come il fratello riesce a scappare trovando soccorso in due donne che chiamano la polizia. Dahmer però convince i poliziotti ad andarsene sostenendo che il ragazzo sia solo il suo fidanzato sotto effetto di stupefacenti. Tornato libero di agire, Dahmer sfoga tutta la sua ira sul giovane uccidendolo, violentandolo, smembrandolo e poi mangiandone parzialmente il corpo. A niente servono le telefonate delle due testimoni, che giurano, preoccupate, di non aver mai visto il ragazzo uscire dall’appartamento del suo aguzzino. La polizia le ignora deliberatamente consegnando il povero Konerak a una morte atroce.
Il 22 luglio 1991 finalmente Dahmer compie un passo falso. Con la solita tattica ormai collaudata adesca Tracy Edwards, che però nota alcune foto di cadaveri appese alle pareti. Nonostante la forte dose di sonnifero che Dahmer gli ha somministrato, Edwards riesce a capire la situazione e a fuggire dalla polizia convincendo alcuni agenti a perquisire l’appartamento dell’assassino.
Lo spettacolo a cui la polizia assiste è sconvolgente: resti di cadaveri conservati in frigorifero, alcune teste e mani tagliate di netto dentro a delle pentole, teschi umani dipinti, peni conservati in formaldeide e fotografie di cadaveri squartati.
La pena è giustamente durissima: Dahmer viene infatti condannato a 957 anni di prigione, ovvero un ergastolo per ogni sua vittima. Una misura preventiva per evitare di concedere mai la libertà anche in caso di ricorso.
Dopo essere stato incarcerato, il 3 luglio 1994 viene aggredito da un altro detenuto che lo colpisce alla testa con un bilanciere provocandone la morte. La lunga striscia di stragi iniziate nel 1978 finisce, per ironia della sorte, nello stesso modo in cui era iniziata.